Quando chiediamo a qualcuno: “quanta autostima ti attribuisci, in una scala da zero a dieci?” di solito ci troviamo di fronte a due possibili feedback:
- la persona che, dopo aver alzato gli occhi al cielo come per risolvere mentalmente un calcolo, ci risponde quantificando con un numero il valore che si attribuisce
- la persona che ci risponde dicendo “dipende” e ci racconta con lucidità quali ambiti di vita la appagano del tutto, quali parzialmente, quali per nulla
Queste differenze nella reazione alla nostra domanda dipendono dalle caratteristiche, più o meno analitiche, degli individui a cui ci rivolgiamo. Ma entrambe le risposte sono sensate e utili.
Il primo tipo di persona è caratterizzata da uno stile percettivo più sistemico e, per questo, riesce immediatamente a valutare la sua Autostima globale, attraverso un’autovalutazione integrata di tutte le componenti di personalità (cognitiva, emotiva, relazionale) che genera la sensazione di contare, di avere valore, di meritare stima ed attenzione o, al contrario, di non meritare tempo, cura, dedizione, amore e premura perché non vale.
Il secondo tipo di persona possiede uno stile percettivo più analitico che le consente di scandagliare velocemente il grado di soddisfazione relativo ad ogni area della sua vita, individuando con una lente di ingrandimento emotiva le realizzazioni e le mancanze. Questa attribuzione riguarda quindi le singole Autostime specifiche: la famiglia, il lavoro/lo studio, le relazioni (amicali e amorose), la percezione corporea.
Abbiamo tante autostime specifiche quante sono le aree in cui ci cimentiamo e ogni autostima specifica può essere a sua volta suddivisa in ulteriori livelli di specificità (ad esempio nelle relazioni possiamo rilevare un grado di soddisfazione diverso nella relazione con amici diversi). A questo punto, le menti governate dalla ragione potrebbero cedere alla tentazione di calcolare l’Autostima globale facendo una pura e semplice media matematica tra i valori numerici attribuiti a ciascuna Autostima specifica.
Ma cedere a questa tentazione significherebbe sminuire la complessità dell’Autostima come processo dinamico ed interdipendente tra la percezione che abbiamo di noi stessi, e quella che gli altri hanno di noi (o che crediamo gli altri abbiano di noi). Come già spiegato dettagliatamente in un articolo del magazine (mettere il link?), a pesare maggiormente sulla valutazione globale dell’Autostima, è il grado di soddisfazione nelle aree di vita più importanti per noi in questo preciso momento storico. Già, perché, a dispetto di tutte le ricette standard su come migliorare l’autostima, l’ingrediente segreto di una vita piena è cercare di scoprire/realizzare la nostra missione esistenziale, ovvero dare voce e spazio a ciò che più ci nutre, appaga, eleva e poterlo condividere con chi amiamo.
Il pilastro Famiglia riflette i vissuti che proviamo come membro della nostra famiglia: più ci sentiamo apprezzati dai nostri familiari, più percepiamo riconoscimento, amore e rispetto da parte loro, maggiore sarà l’autostima in questo ambito.
La famiglia di origine è la “palestra emotiva” più importante per una crescita evolutiva inarrestabile; è il terreno più sfidante per sfoderare le risorse necessarie a diventare una versione di noi stessi migliore e con contorni ben definiti.
Solo rispettando ed apprezzando la diversità dei compagni di viaggio che non abbiamo scelto, potremo disegnare la nostra missione in ambito familiare e, quindi, costruire una nuova famiglia che appaghi i nostri desideri più profondi ed irrinunciabili.
Il lavoro/studio è un’area fondamentale della vita nella quale l’Autostima può trovare nutrimento per svilupparsi, o per avvelenarsi, soprattutto in un’epoca di cambiamenti iper-veloci caratterizzati da una certa incertezza sul proprio futuro professionale.
Per essere soddisfatti in ambito lavorativo o scolastico è necessario che il valore attribuito a noi stessi come professionisti o studenti rispetti i nostri standard di successo. E perché la fiducia nelle nostre risorse sia possibile, è necessario imparare a vivere questa area di vita come occasione preziosa di crescita personale, allenando le sue tre componenti fondamentali (competenza, comunicazione, relazione) ed evitando di farsi soggiogare da trappole mentali e da comportamenti depotenzianti.
Il pilastro Relazioni riguarda la percezione che abbiamo di noi stessi come amico di altri: più spesso saremo ricercati, rispettati, seguiti come modello, più probabilmente questo ambito di vita sarà appagante. I meccanismi che regolano l’essere umano sono spesso paradossali. E questo vale soprattutto quando non abbiamo il controllo esclusivo di ciò che accade, come ad esempio nella danza relazionale con altre persone. Occorre imparare a considerare le aspettative nei riguardi degli altri come preziosi “abiti sartoriali” da misurare ad ogni contatto e la fiducia come un seme da coltivare nel tempo con pazienza e devozione.
La conquista dell’Autostima amicale e amorosa è complessa, ma possiamo cominciare ad alimentarla, donandoci (in dosi differenti e ad un ritmo differente) a chi apprezziamo. Rendere felici chi ci fa sorridere, chi apprezziamo e stimiamo rende felici anche noi e genera una spirale virtuosa di nutrimento e crescita evolutiva. Forse questo passaggio iniziale non sarà sufficiente, ma è comunque necessario a stabilire una reciprocità funzionale per entrambi gli attori in scena.
La Percezione corporea è la qualità emergente tra schema corporeo e immagine corporea, poiché riguarda la percezione del nostro corpo come amico, in salute, bello e ben funzionante; la solidità di questo pilastro dell’autostima dipende pertanto dalla nostra capacità di accettare il nostro corpo come “casa” per poi migliorarlo grazie ad uno stile di vita che lo renda sano e fidato. La percezione del nostro corpo è squisitamente soggettiva e se ne frega dei complimenti o delle rassicurazioni altrui. Il giudizio della bilancia è limitato, quello dello specchio è impertinente. La percezione che abbiamo del nostro corpo ha a che fare con i nostri vissuti emotivi, relazionali, sociali (passati e presenti), ma anche con le paure che riguardano il nostro futuro. Poco importa se temiamo di più continuare a non piacere a nessuno, o se temiamo di più la possibilità di piacere a qualcuno, correndo il rischio di metterci davvero in gioco. Fino a quando saremo squalificanti (o cattivi) col nostro corpo, lui ci deluderà. Perché sentirà che gli siamo nemici. Il viaggio per costruire un’alleanza benefica e duratura col proprio corpo è diverso per ciascuno. Ma il primissimo passo è uguale per tutti, ed è la gentilezza.
Proviamo a smetterla di lamentarci col mondo di quello che non ci piace del corpo che abitiamo, proviamo ad accettare qualche complimento che lo riguarda, proviamo ad accarezzare più spesso le sue parti che più detestiamo, proviamo a prendercene cura con tenerezza… proviamo a trattarlo come se fosse un bambino affamato d’amore! La gentilezza, se quotidiana e duratura, ci aiuterà ad incarnare il nostro corpo più comodamente e a risanare la nostra relazione con lui. Solo così potrà cominciare un nuovo capitolo del libro chiamato “esistenza”
Poiché l’autostima può essere definita come la distanza tra la persona che sentiamo di essere e la persona che vorremmo essere, possiamo facilmente misurare il grado di autostima specifica corrispondente ad ogni area della vita, chiedendoci: “quanto somiglio alla persona che vorrei essere? Quanto valore mi viene riconosciuto? Quanto sono efficace nel ruolo che ricopro? Quanta fiducia ripongono in me le altre persone? Quanto è lungo in questo ambito di vita, il cammino che mi conduce alla versione migliore di me? A quel punto sentiremo forte in pancia alla cura di quale pilastro del tempio – Autostima dedicarci prima possibile.