Il tema dell’autostima o stima di sé è variegato e complesso e moltissimi studiosi si cimentano da tempo in riflessioni sul tema, ma ancora non abbiamo una visione univoca e sistematica di come funzioni esattamente. E c’è un motivo: nonostante il funzionamento teorico dell’autostima accomuni tutti gli esseri umani, una grande parte è giocata dalla soggettività nel concepire l’autostima, nel darle valore e nelle spinte tese a migliorarla o ad abbassarla, avere stima di se stessi riguarda tutti indistintamente.
Autostima: partiamo da ciò che è comune negli esseri umani
Come scrive egregiamente Nathaniel Branden nel suo libro “I sei pilastri dell’autostima”, l’autovalutazione negli esseri umani è uno dei compagni di viaggio più imprescindibili: è sempre presente nel corso della nostra vita.
Ci sono quatto tipi di autovalutazioni in merito alla stima di se stessi che svolgono funzioni differenti:
- una autovalutazione REALISTICA: ci permette di sapere quali sono i nostri poteri e la loro entità, aiutandoci ad agire in modo efficiente, efficace, razionale, pianificato, senza sprechi di risorse (emotive, mentali, economiche) e aumentando le probabilità di riuscita.
- una autovalutazione COERENTE e STABILE: ci fa sentire di controllare e prevedere la realtà; se cambiassimo continuamente idea su di noi, non potremmo mai capire chi siamo, quali sono le nostre doti, cosa aspettarci da noi stessi e così via; saremmo poco ‘adattati’ e condannati a un perenne squilibrio.
- una autovalutazione POSITIVA: favorisce un atteggiamento fiducioso e un comportamento costruttivo; è quell’incentivo, quella molla motivazionale che ci dà intraprendenza e tenacia, senza le quali è difficile prendere la minima iniziativa.
Questi bisogni di autovalutazione REALISTICA, COERENTE, STABILE e POSITIVA sono tutti indispensabili e legittimi, ma spesso sono in contrasto tra loro: l’autovalutazione realistica spesso entra in conflitto con l’autovalutazione positiva perché la valutazione di noi stessi spesso è molto meno lusinghiera di quanto ci piacerebbe che fosse:
- da una parte vogliamo davvero conoscere se e quanto valiamo, se e quanto siamo bravi, intelligenti, generosi, amabili
- dall’altra parte cerchiamo rassicurazione e conferme sul nostro valore indiscutibile a discapito della “verità”
Anche il bisogno di coerenza e stabilità spesso entra in conflitto con le altre spinte (meglio una stima di se bassa ma stabile o una che potrebbe salire ma al costo di forti oscillazioni?). Cerchiamo di vederci molto più coerenti e prevedibili di quanto effettivamente siamo, e in questo sforzo minimizziamo o ignoriamo tante nostre contraddizioni e ambiguità, tanti mutamenti nelle nostre capacità e inclinazioni.
Insomma, la soddisfazione congiunta delle varie spinte auto-valutative è una questione complessa, che richiede la creazione di delicati equilibri tra questi bisogni. L’equilibrio scelto da ognuno dipende dalle sue preferenze e ogni scelta ha il suo prezzo in termini di sofferenza.
La stima di se è infatti un concetto soggettivo che riguarda la valutazione che ogni individuo dà di sé stesso in base al grado di fiducia che ha nel proprio valore, nelle proprie capacità e nell’essere ritenuto importante per gli altri.
Studi sulla stima di se e sulla stima di se stessi
William James fu il primo a discutere il costrutto dell’autostima.
James (1842-1910) considerò l’autostima come un processo valutativo, definendola come “rapporto tra sé percepito e sé ideale”; il sé percepito è la considerazione che un individuo ha di sé stesso, in base alle caratteristiche che ritiene di possedere o non possedere; il sé ideale è invece l’idea di come vorrebbe essere e del modello di vita che desidererebbe avere.
Secondo lo studioso la persona percepisce bassa autostima nel momento in cui il suo sé percepito non riesce a raggiungere il livello del suo sé ideale, e quanto più grande è la discrepanza tra i due tanto più prova insoddisfazione.
Origini dell’autostima
L’individuo comincia a formare immagini di sé ad un’età molto precoce, fin dalla prima infanzia. Esse dipendono da fattori legati in parte alla sua indole e in parte alle modalità con cui la sua personalità verrà plasmata dalla relazione affettiva con le figure principali figure di accudimento.
Il nostro senso di autostima deriva da:
- elementi cognitivi, il bagaglio di conoscenze che abbiamo, la consapevolezza di noi stessi e delle situazioni che viviamo;
- elementi affettivi che vanno ad influenzare la nostra sensibilità nel provare e ricevere sentimenti;
- elementi sociali che condizionano l’appartenenza a qualche gruppo e la possibilità di avere un’influenza sul gruppo, di ricevere approvazione o meno dai componenti di quest’ultimo.
In quanto percezione soggettiva, l’autostima è dinamica e mutevole nel corso della vita. Il senso di autostima deriva principalmente dalle relazioni che instauriamo e manteniamo con noi stessi, con gli altri e col mondo, ed è l’interdipendenza tra queste tre relazioni ad influenzare il valore che possiamo o non possiamo attribuirci.
Qualcuno potrebbe dunque chiedersi: perché questa questione dell’autostima è così importante? È importante perché la propria autostima determina il modo in cui la persona pensa, sente, si comporta e sceglie.
La stima di se stessi può essere distinta in due polarità principali:
Bassa autostima: la persona si arrende al fatto che non riuscirà mai a diventare ciò che vorrebbe essere, concretizzando la sua paura in certezza. Questi soggetti smettono di lottare per migliorarsi, si sentono ansiosi e preoccupati prima di ogni prova, vedono ogni compito come una minaccia per la loro autostima, occasioni in cui rischiano di dimostrare di non essere capaci, non hanno assolutamente fiducia nelle loro capacità. Anche se raggiungono un iniziale risultato positivo, si spaventano e tendono ad arrendersi.
Una sana stima di se è caratterizzata dalla consapevolezza dei propri limiti e delle proprie risorse, dal perseguire obiettivi realistici, dalla disponibilità al confronto con gli altri e, soprattutto, dallo svolgere in maniera disciplinata le attività a cui dobbiamo fare fronte, alternandole ad attività piacevoli. È la sensazione di potersela cavare, più o meno bene, in qualunque situazione; mettendo in conto di poter cadere, perché ci si può sempre rialzare.
Non si nasce con la giusta autostima: questa va curata, coltivata e alimentata durante il corso della vita. Ovviamente, non si può decidere di avere autostima, né si può scegliere a tavolino di diventare chi non siamo mai stati. Decidere che, a partire da domani, saremo pazienti, determinati o estroversi se non lo siamo mai stati, ci porrebbe in una situazione di conflitto con noi stessi e di affettazione nei confronti degli altri complicando le cose e generando ancora maggiore frustrazione.
Conclusioni e consigli sull’autostima o stima di se
Quindi, come fare per migliorare l’autostima e somigliare un po’ di più al proprio sé ideale?
Ecco alcuni consigli:
- Stabilire un obiettivo piccolo, chiaro e raggiungibili in ogni area della vita (lavoro, famiglia, relazioni, sport, immagine corporea) e scriverlo
- Scegliere, tra quelli scritti, l’obiettivo che percepiamo come più facile da raggiungere
- Pensare ogni giorno a quali sono i pensieri, i comportamenti, le abitudini, le relazioni (cioè lo stile di vita) che mettiamo in atto nonostante ostacolino il raggiungimento di quel piccolo ma importante obiettivo
Se scegliere chi essere non è possibile e addirittura, rischierebbe di “scompensarci”, scegliere qualcosa che è possibile ottenere ed analizzare quanto lo stile di vita attuale ci stia impedendo di ottenerlo può generare ‘effetti sorpresa’ che vale la pena sperimentare.
Lasciatemi concludere questo articolo con l’imperativo che guida le mie giornate buie: “l’autostima parte dal fare… l’essere arriva quando se la sente”.