È giunta l’ora di raccontare come è nato questo progetto e perché per me è così innovativo.
Da dieci anni svolgo l’attività di Psicoterapeuta con grande passione e soddisfazione, una professione utile per chi si ritrova bloccato da patologie invalidanti, ovvero da modalità di percepire e reagire alla realtà con risposte automatiche generatrici di sofferenza e difficilissime da modificare.
Tuttavia, negli ultimi anni nel mio studio hanno cominciato a presentarsi sempre più spesso persone che non sono afflitte da patologie invalidanti ma che si trovano invece ad affrontare i cosiddetti “problemi di autostima”; si tratta di persone che funzionano abbastanza bene nella loro vita in generale, ma hanno aree insoddisfacenti nelle quali “non si sentono all’altezza”, oppure che desiderano migliorare perché interessate a raggiungere nuovi obiettivi o costrette ad affrontare un cambiamento imposto da altri o dalla vita. Come tutti sanno, anche l’essere umano più motivato fatica a cambiare: anche gli equilibri più infelici stentano a morire.
Anni fa ho quindi deciso di studiare meglio la questione dell’autostima, e di riprendere in mano tutto quanto è stato scritto a partire dalle origini; dalla definizione di William James dell’autostima come: “il rapporto tra sé percepito e sé ideale”. Il grande psicologo e filosofo americano già alla fine dell’800 spiegava come il sé ideale abbia a che fare col valore che la persona si attribuisce in base alle caratteristiche che sente (o non sente) di possedere; e come il sé ideale invece riguardi come la persona desidererebbe essere e quale tipo di vita vorrebbe condurre. Secondo James la persona percepisce bassa autostima nel momento in cui il suo sé percepito non riesce a raggiungere il livello del suo sé ideale e quanto più grande è la discrepanza tra i due stati, tanto più nasce frustrazione nella persona.
L’Autostima riguarda il grado di fiducia che si ripone nel proprio valore e nelle proprie capacità e questa autovalutazione è così importante da determinare il modo in cui ci si comporta e le scelte che si compiono. È proprio vero che a volte è necessario fare un passo indietro, per farne due avanti: se l’autostima è un cammino che parte dalla persona che sentiamo di essere e conduce alla persona che vorremmo essere, allora quello che serviva alle persone inceppate in questo percorso era un modello di coaching che le aiutasse nell’acquisire o risvegliare risorse utili ad affrontare questo percorso.
Già, perché l’autostima può solo essere costruita, nessuno può donarcela.
E fin qui mi era chiaro il da farsi. Però mancava ancora qualcosa: da dove cominciare? Quale poteva essere l’incipit più vantaggioso per dare il via a questo cammino? Ho ricominciato a studiare la bibliografia sull’autostima, ma soprattutto la vita delle persone che mi chiedono aiuto e i loro meccanismi inceppati. Nell’edificio autostima c’è un pilastro spesso trascurato perché ritenuto futile e superficiale, ma la cui solidità o debolezza impatta in maniera determinante sulle fondamenta e sugli altri pilastri: si chiama Percezione Corporea. Nella stragrande maggioranza dei casi, le persone con scarsa autostima hanno questo pilastro debole o afflitto da alcune “crepe”: non si sono mai sentite comode in quella “casa chiamata corpo”; oppure faticano a guardarsi allo specchio; oppure, pur avendo trovato una tregua con la propria immagine, non ricevono i feedback desiderati da parte degli altri.
La Percezione Corporea, ecco quale era la chiave che cercavo.
Possiamo scomporre a fini operativi la Percezione Corporea in Immagine Corporea e Sport. Le diverse componenti emotive che determinano la solidità o la debolezza di questo pilastro sono:
– quanto sentiamo il nostro corpo «bello e in forma»
– quanto percepiamo il nostro corpo ben funzionante e in salute
– quanto crediamo che le altre persone reputino «bello e in forma» il nostro corpo
Se lo sport è più legato al funzionamento del nostro corpo e allo schema corporeo, l’Immagine Corporea era dunque il focus per il mio progetto PsicoStyling.
“Non si può non comunicare” è il primo assioma della Comunicazione Umana, ad indicare come sia impossibile essere neutri e non raccontare, inevitabilmente, qualcosa di noi stessi. Troppo spesso subiamo il racconto che la nostra Immagine Corporea fa di noi, anziché gestirlo in funzione della situazione, degli interlocutori, degli obiettivi. Questo pilastro dell’autostima ha un’origine antica nello sviluppo dell’essere umano ed è l’intersezione di molteplici fattori intra ed extra soggettivi di natura percettiva, emotivo-psicologica, sociale.
Fattore Percettivo
L’immagine del corpo si forma attraverso le varie informazioni sensoriali: visive, tattili, olfattive, acustiche, propriocettive ed enterocettive; è il prodotto dell’attività della corteccia cerebrale dove si opera una sintesi unificante delle diverse afferenze corporee. Le neuroscienze hanno individuato le caratteristiche che con maggiore probabilità ci fanno definire bello un volto: simmetria e armonia nelle proporzioni, tratti decisi. Dobbiamo considerare inoltre che la percezione del bello è utile alla riproduzione, per questo motivo la percezione della bellezza è legata alla selezione naturale e all’evoluzione della specie.
Le ricerche stanno studiando le basi neuroanatomiche della percezione del bello e il maggiore responsabile pare sia il «circuito cerebrale del piacere», che si attiva quando osserviamo un’opera d’arte, ascoltiamo la nostra musica preferita, guardiamo il nostro partner…e anche quando ci piace la nostra Immagine riflessa allo specchio.
Fattore Emotivo-Psicologico
L’immagine corporea riguarda la situazione emotiva, i ricordi, le motivazioni e i propositi d’azione dell’individuo; non è statica, ma si modifica continuamente sulla base delle esperienze/vissuti personali.
Fattore Sociale
L’atteggiamento familiare crea le fondamenta per un’immagine positiva o negativa del bambino che influenzerà in maniera determinante lo sviluppo delle sue abilità e lo stile che egli agirà nelle relazioni sociali. Gli esseri umani sono mix tra natura e ambiente: nasciamo con alcune predisposizioni naturali, o “inclinazioni”, che possono essere potenziate o depotenziate dalle esperienze; e tali esperienze possono modificare o «ristrutturare» le fondamenta dell’edificio autostima di ciascuno di noi.
L’Immagine Corporea è la rappresentazione Percettiva, Emotiva e Sociale del nostro corpo, creata e nutrita dalle nostre esperienze/vissuti percettivi-emotivi-sociali; come gli altri pilastri dell’autostima essa è una percezione dinamica e mutevole.
Potremmo dire che il giudizio che arriva spontaneo quando ci guardiamo allo specchio si è costruito nel tempo attraverso una relazione circolare strettissima tra le nostre istanze emotivo-percettive e le reazioni altrui manifestateci attraverso i comportamenti di apprezzamento o di rifiuto nei nostri confronti. In altre parole, la percezione che abbiamo della nostra immagine corporea è influenzata ed influenza la percezione che le altre persone hanno di noi.
Il ruolo principale dell’Immagine Corporea è quindi comunicare chi siamo. Questa missione comunicativa viene agita attraverso un canale comunicativo statico e un canale comunicativo dinamico.
Per comunicazione statica intendiamo l’abbigliamento, l’acconciatura, il make-up, gli accessori e tutto quanto è da noi utilizzato per “agghindare” il nostro corpo.
Per comunicazione dinamica intendiamo tutto il corredo non verbale: mimica facciale, postura, prossemica, aptica, paraverbale.
A conferma che l’Immagine Corporea sia il portavoce della nostra identità mi sembra doveroso citare l’ormai noto effetto prima impressione. Le ricerche rivelano come l’essere umano costruisca in pochi secondi un’opinione sulle persone, come la prima impressione persista nel tempo e come cambiare opinione possa richiedere molti mesi.
Pare che i maggiori responsabili nella genesi della prima impressione siano:
1. Abbigliamento e forma del corpo
2. Acconciatura
3. Odore e sesso
4. I primi dieci passi
5. Le prime dieci parole
6. I primi dieci centimetri del viso
7. Mimica facciale
8. Sguardo e tipo di contatto visivo
Tali ricerche palesano come i contenuti verbali abbiano un’importanza residuale nel determinare l’impressione che costruiamo degli altri in pochi secondi; e questo sta a significare che il medesimo processo avviene quando le altre persone costruiscono in pochi secondi la prima impressione su di noi. Conta ben poco quanto siamo intelligenti, preparati, competenti nei primi minuti di una nuova interazione. Conta come appariamo, cosa comunica la nostra Immagine Corporea e quell’apparenza racconta molte cose a chi ci osserva e interagisce con noi.
Ma vi dirò di più: l’effetto prima impressione non influenza soltanto i primi approcci tra sconosciuti; influenza anche le relazioni tra conoscenti e tra amici, familiari, partner. A tutti è capitato di sentirsi dire in qualche occasione: “ma che faccia hai oggi, cosa ti è successo?”, oppure viceversa: “che bel viso riposato, sei stato in vacanza”.
Troppo spesso siamo vittime di quello che la nostra Immagine Corporea comunica e troppo spesso dimentichiamo che, attraverso la lettura dei nostri messaggi “statici” e “dinamici”, le altre persone traggono conclusioni su chi siamo e su quale sia il nostro stile di vita; il benessere o il malessere percepito dagli altri rischia di influenzare la qualità delle nostre relazioni. Questo accade quando non scegliamo in maniera deliberata cosa comunicare e come comunicarlo nelle diverse situazioni che ci troviamo a vivere quotidianamente.
Se le componenti statica e dinamica della comunicazione sono i canali privilegiati per raccontare al mondo la nostra personalità e il nostro stile di vita, allora vale la pena lavorarci un po’, smettendo di subire passivamente una “biografia non autorizzata” e cominciando a scegliere. Con questa finalità è nato il progetto PsicoStyling. Come strada maestra per imparare a gestire la propria Immagine Corporea, scegliendo cosa raccontare di sé al mondo e scegliendo come raccontarlo. Come è possibile?
Conoscendosi – Accettandosi – Migliorandosi
Conoscere la persona che si è in un determinato momento storico prevede di ammettere a se stessi il grado di soddisfazione che si prova nei confronti del proprio modo di vivere la vita e di misurare quanto è distante la persona che si sente di essere da quella che si desidererebbe essere negli ambiti: familiare, lavorativo, relazionale, corporeo (autostime specifiche).
Sulla base di questa prima analisi, ci si conosce ancora meglio rilevando gli aspetti insoddisfacenti della propria vita, analizzando cosa si sta facendo (o non si sta facendo) nel tentativo di migliorare questi aspetti e soprattutto ponendosi nuovi obiettivi in maniera definita, realistica e misurabile che permetterebbero di vivere con maggiore soddisfazione e pienezza gli ambiti lacunosi.
Ci si conosce ancora meglio, identificando le risorse comunicative su cui poter contare perché contenute nella “valigia degli attrezzi” donataci dalla natura e dalle esperienze vissute: i colori più valorizzanti, il contrasto tra i colori che più mette in risalto la mimica facciale, l’intensità personale e la “presenza scenica”, le forme che meglio armonizzano le proporzioni del corpo e rendono postura e prossemica funzionali danzatori della quotidianità, gli accessori e gli ornamenti che creano sintonia/contrasto con tono, timbro e volume della nostra voce.
Conosciuto ciò che ci caratterizza si tratta di accettarlo ed esercitarci ad utilizzarlo, rivisitando l’armadio, sospendendo gli acquisti per un po’ di tempo, ma soprattutto osservando la comunicazione statica e dinamica che le altre persone agiscono in diverse circostanze. Cominciare questo esercizio con gli estranei è più utile perché siamo più liberi da pregiudizi: come si muovono le persone sedute accanto a noi al ristorante? Cosa comunicano con lo sguardo e con la postura? La scelta degli abiti e dei colori è in armonia con la loro gestualità, col ristorante in cui si trovano e con le persone sedute accanto o ci sono elementi di disaccordo? E, volendo fare uno studio antropologico ancora più accurato, la figura della persona che abbiamo scelto di osservare per forme, colori e atteggiamento è totalmente coerente, e quindi monotona, oppure vi sono dettagli che catturano l’attenzione? E in maniera ancora più specifica: quando la persona prescelta per il nostro esercizio di osservazione se ne va lasciando il ristorante, cosa ricordiamo di lei? Questo insieme di rilevazioni mirate, che spaziano dal generale al particolare e dal particolare al generale, sono la sintesi della storia che l’Immagine Corporea racconta.
Questo è l’esempio ridotto ai minimi termini di cosa intendiamo quando parliamo dell’Immagine Corporea come nostro “biglietto da visita” nel mondo.
Nella nostra epoca, più che mai, apparire in un certo modo significa essere in un certo modo: si tratta di trasformare questo potenziale limite in risorsa utile ad autorizzare la biografia raccontata dalla nostra Immagine, e così facendo rafforzare questo importante pilastro dell’Autostima.
L’accettazione è la conditio sine qua non per potersi migliorare.
Per migliorare l’autostima e diventare la persona che si sogna di essere è necessario adoperarsi in funzione degli obiettivi predefiniti e cominciare, step by step, a perseguirli.
La realizzazione dello stile di vita desiderato è il cammino che permette alle persone di affrontare difficoltà, superare sfide e sviluppare disciplina, perseveranza, resilienza; solo affrontando quello che temiamo e compiendo un piccolo passo quotidiano nella direzione desiderata aggiungeremo mattoni ai pilastri dell’autostima o rinsalderemo eventuali crepe generate dai terremoti della vita.
Durante il cammino, dalla persona che ci si sente di essere a quella che si desidera essere, viene redatto un book comprensivo di tre parti: My Lifestyle, My Colors, My Shapes: si tratta di un vademecum che, a fronte degli obiettivi che la persona sta perseguendo, va a declinare in maniera funzionale e soggettiva l’utilizzo degli strumenti della comunicazione statica e della comunicazione dinamica.
Fino a quando la persona potrà continuare da sola il cammino, consapevole di essere cambiata pur rimanendo se stessa.